top of page

LA PSICOLOGIA DEL RUNNER AMATORIALE

ree

Scopriremo in questo articolo la psicologia del runner amatoriale affrontando motivazione, costanza e gestione della fatica. Accenneremo inoltre il ruolo dell’osteopatia nel migliorare il

benessere mentale e fisico.


Tra mente, corpo e motivazione: il viaggio interiore di chi corre.

Chi corre lo sa: la corsa non è soltanto un gesto fisico. È un dialogo continuo tra corpo e mente, tra motivazione e fatica, tra desiderio e realtà. È un viaggio, spesso, più interiore che esteriore.

Per il runner amatoriale, questa dimensione psicologica è cruciale. Non si tratta solo di “allenare le gambe”, ma di comprendere le proprie ragioni, i propri limiti, i propri bisogni. Ed è proprio qui che l’incontro tra psicologia dello sport e osteopatia trova terreno fertile: un approccio che considera l’essere umano nella sua interezza, fatto di muscoli e pensieri, di postura e percezione, di movimento e significato.


Chi è il runner amatoriale?

Il runner amatoriale non è un professionista ma spesso si comporta come tale, seguendo tabelle, allenandosi con dedizione e sognando di superare sé stesso.

Dietro ogni corsa però c’è un uomo o una donna, con la sua storia.

C’è chi ha iniziato per dimagrire, chi per scaricare lo stress, chi per sentirsi più vivo, chi per condividere del tempo con sé stesso o con altri. L’età, l’esperienza, il contesto di vita inteso come

lavoro, famiglia e tempo libero, definiscono un profilo estremamente variegato, ma accomunato da un tratto costante: la ricerca di equilibrio.

La motivazione dell’atleta non è mai un fatto statico, è un processo dinamico che evolve, che va

nutrito e ricalibrato nel tempo.

Nel caso del runner amatoriale, questa verità è ancora più evidente: l’entusiasmo iniziale spesso si scontra con la stanchezza, con gli impegni quotidiani, con piccoli infortuni o cali di energia. Capire cosa mantiene viva la fiamma diventa allora l’aspetto più importante dell’intero percorso.


Le difficoltà lungo la strada

All’inizio tutto è semplice: si compra un paio di scarpe, si esce, e si corre.

Ma dopo qualche settimana, quando la novità svanisce, emergono le prime difficoltà psicologiche.

Il calo di motivazione è il primo ostacolo.

Correre richiede costanza, e la costanza chiede senso.

Se la corsa resta legata solo a un obiettivo esterno come il “perdere peso” o “fare la maratona”, il

rischio è che una volta raggiunto (o fallito), tutto si spenga.

La motivazione estrinseca legata al risultato, è fragile; quella intrinseca invece, radicata nel piacere e nel significato personale, è la più duratura.

Un’altra difficoltà è la gestione della fatica e della noia.

Nelle distanze lunghe, la mente tende a oscillare tra momenti di lucidità e di buio. Come afferma il Prof. Albero Cei parlando della maratona, bisogna “saper aspettare la fatica”, accoglierla, persino annoiarsi per un tratto, senza cedere alla frustrazione. È un allenamento mentale tanto quanto fisico.

Il runner deve imparare a convivere con lo sforzo, a trasformare la noia in concentrazione, a

riconoscere i propri limiti senza viverli come fallimenti.

E poi c’è la paura di non farcela.

Molti runner amatori vivono la corsa con una tensione sottile: non tanto la paura della

prestazione, quanto quella di deludere sé stessi, di interrompere un percorso, di “perdere il

ritmo”.

Questo stato ansioso, se non riconosciuto, può portare a sovraccarichi fisici e mentali, che si

riflettono anche nel corpo.

L’osteopata spesso incontra il corridore: quando la mente ha chiesto troppo e il corpo si ribella.


Le necessità interiori di chi corre

Motivazione, ascolto e flessibilità sono 3 elementi chiave.

Ogni runner amatoriale ha bisogno, prima di tutto, di un motivo autentico per continuare a

correre.

La motivazione intrinseca, correre perché ci si sente bene, perché è un momento per sé, perché fa stare meglio con gli altri è la più sostenibile e duratura in quanto profonda.

Occorre poi un equilibrio tra obiettivi chiari e flessibilità.

L’obiettivo dà direzione, ma non deve diventare una gabbia. Il corpo cambia, la vita cambia, e

anche le ambizioni devono poter respirare. Un traguardo può essere una gara, certo, ma anche

semplicemente “sentirsi meglio al mattino”, “non avere più dolore alle ginocchia”, “godersi il

paesaggio”.

C’è poi la necessità di ascolto, del corpo, della mente e delle emozioni.

Il runner amatoriale che impara ad ascoltarsi con l’aiuto, ad esempio, di un osteopata che gli

insegna a percepire tensioni, asimmetrie e segnali precoci, sviluppa una forma di consapevolezza che diventa forza mentale.

Correre non è più una fuga, ma un ritorno a sé.

La flessibilità sta nel fatto che un obbiettivo è importante, ma deve essere adattabile. Se la vita

cambia e il corpo richiede una pausa, rimodulare i traguardi non significa arrendersi, bensì

rispettarsi.


Obiettivi e motivazioni: il motore della continuità e la bussola del runner

Gli obbiettivi devono essere chiari e realistici, devono orientare e non schiacciare.

Il runner amatoriale non ha la pressione del risultato, ma affronta un’altra sfida: la costanza nel

tempo. E per mantenerla serve un equilibrio tra passione e disciplina.

Gli obiettivi possono essere diversi: migliorare la salute, completare una distanza, scaricare lo

stress, sentirsi parte di una comunità. Ma ciò che li rende vivi è il significato personale che

ciascuno vi attribuisce.

Il rischio, spesso, è confondere la corsa con la competizione continua: “devo correre più veloce”,

“devo fare più chilometri”.

In realtà, la psicologia dello sport insegna che l’approccio più efficace è orientato alla crescita, non alla prestazione.

Ogni allenamento diventa così un piccolo passo di consapevolezza: non “essere migliore degli

altri”, ma “essere migliore di ieri”.

È un principio semplice ma potentissimo, che trasforma la corsa in un percorso di sviluppo

personale, non in una rincorsa infinita.

Non importa se si corre forte o piano, conta restare costanti, presenti e motivati.

Per non creare pressioni inutili il metodo SMART è uno strumento efficace.

L’obbiettivo deve essere SMART:

Specifico, chiaro e definito

Misurabile, valutazione dei progressi nel tempo

Attuabile, realistico per livello da raggiungere e tempo a disposizione,

Rilevante, in linea con i propri valori e motivazioni

Temporizzato, con una scadenza precisa


Mantenere la motivazione nel tempo

La motivazione, come la forma fisica, va allenata.

La chiave sta nell’autoregolazione: saper dosare l’energia, gestire l’attivazione, riconoscere i

segnali di stress, e non pretendere sempre il massimo.

Creare routine è importante: giornate fisse per correre, rituali pre-allenamento, un piano

realistico. Ma anche la variabilità lo è: cambiare percorso, condividere una corsa, introdurre

momenti di pausa programmata.

Il corpo ha bisogno di ritmo, ma anche di respiro.

Tenere un diario, delle sensazioni e non solo dei chilometri, può aiutare a mantenere il contatto

con la propria evoluzione. E soprattutto, serve riconoscere i piccoli progressi: la costanza, il

recupero più rapido e la maggiore concentrazione.

Infine, c’è il ruolo del piacere!

Correre dev’essere, prima di tutto, una fonte di piacere, di libertà, di presenza. Quando la corsa

diventa solo un dovere, perde la sua forza. Ritrovare il gusto del movimento, ascoltando la musica del respiro, il ritmo dei passi o il silenzio della mente, è il miglior modo per rimanere motivati.


Osteopatia e mente: un’alleanza invisibile

Nel percorso del runner amatoriale, l’osteopata può diventare un compagno di viaggio.

Non solo per risolvere dolori o tensioni, ma per insegnare a leggere il corpo.

La percezione delle asimmetrie, la consapevolezza del respiro, la gestione del recupero: tutto

questo rafforza il legame mente-corpo, fondamentale per una motivazione stabile.

Un corpo in equilibrio comunica meglio con la mente.

Un corpo che soffre manda segnali distorti, e la motivazione ne risente.

Quando osteopatia e psicologia si incontrano, la corsa diventa un atto armonico: la mente guida, il corpo segue, e viceversa.


Conclusione

Correre non è mai solo correre.

La psicologia del runner amatoriale è un mosaico complesso di motivazioni, emozioni e scelte

quotidiane.

Correre significa imparare a conoscersi, a dosare, ad accettare, a ripartire. Significa imparare che la fatica non è un nemico, ma un linguaggio del corpo; che la noia è una forma di meditazione; che ogni passo, anche il più lento, costruisce una versione migliore di noi stessi.

La corsa e tutto lo sport in generale, è uno strumento per conoscerci, imparare la gestione della

fatica, riscoprire i propri limiti e superarli con intelligenza.

Come afferma il prof. Alberto Cei, “l’atleta deve essere capace di gestirsi”.

Perché nella corsa, come nella vita, il vero traguardo non è arrivare primi: è restare in cammino,

con equilibrio, motivazione e consapevolezza.

Ringraziamento

Un ringraziamento sentito al Prof. Alberto Cei, psicologo dello sport e docente universitario, le cui

ricerche, pubblicazioni e lezioni sono state per noi fonti d’ispirazione. Le sue opere hanno

profondamente influenzato questo articolo e il nostro approccio alla psicologia del runner

amatoriale. Grazie Prof. Cei, per il suo contributo prezioso alla comprensione del legame mente-

corpo nello sport.


Dr. Luca DENNI, Chinesiologo LSM, Osteopata D.O.

 
 
 

Commenti


SEDI

Via Don Bosco n.69

00044 Frascati

Roma

Tel. +39 339 6431890

Studio dentistico

Via dell'Aquila Reale, n. 2

00169 Roma

Tel. +39 339 6431890

  • Facebook Icona sociale
  • Instagram
  • LinkedIn Icona sociale

CONTATTI

GRAZIE PER AVERCI CONTATTATO!

© 2020 by Luca Denni Osteopata. Creato con Wix.com

bottom of page